28/01/08


Erano passati pochi giorni dalla manifestazione di un milione di persone contro la guerra in Iraq che aveva concluso il Forum Sociale Europeo di Firenze, una delle più importanti esperienze di partecipazione democratica realizzate nel nostro paese.

La notte del 15 novembre 2002 venti persone che erano state fra gli organizzatori di quel Forum furono arrestate dai reparti speciali dei ROS e dei GOM. Ad altri cinque furono notificati gli arresti domiciliari. Quarantatre persone finirono indagate nel filone di inchiesta. Le irruzioni di uomini armati fino ai denti e con il volto coperto terrorizzarono molte famiglie a Cosenza, Napoli e Taranto.

Tredici persone furono rinviate a giudizio, accusate di aver voluto "sovvertire violentemente l´ordine economico costituito nello stato" per essere stati fra gli animatori delle grandi manifestazioni di popolo in occasione del vertice OCSE di Napoli e del G8 di Genova nel 2001.

Quel processo, iniziato il 2 dicembre 2004 presso la Corte di Assise di Cosenza, è alle sue battute finali. La requisitoria del Pubblico Ministero è prevista per il 23 gennaio, e poco dopo sarà emessa la sentenza.

Solo un mese fa il Tribunale di Genova ha comminato più di un secolo di carcere a ventiquattro manifestanti. Sono stati inflitti fino a 11 anni di carcere utilizzando reati da codice di guerra come l'accusa di "devastazione e saccheggio".

Al contrario, nessuno ha pagato per le inaudite violenze compiute dalle forze dell´ordine sui manifestanti a Genova, giudicate da Amnesty International la più grave violazione dei diritti umani in Europa dal dopoguerra.

Nessuno dei dirigenti responsabili ha dovuto rendere conto degli errori ed orrori commessi: al contrario, sono stati tutti promossi. I processi per la macelleria della Diaz e le torture a Bolzaneto si avviano alla prescrizione per decorrenza dei termini. L´omicidio di Carlo Giuliani è stato archiviato senza un processo. Il Parlamento ha respinto la richiesta di istituzione di una Commissione di Inchiesta. Al contrario, gli imputati di Cosenza rischiano pene severissime

Ancora una volta c´è bisogno di difendere la dignità calpestata del nostro paese e le garanzie democratiche -nel sessantesimo della Costituzione. Una volta ancora bisogna pretendere verità e giustizia sui fatti di Genova, e difendere il diritto a costruire un "un altro mondo possibile".

Il nostro paese è pieno di lotte, vertenze nazionali e locali, resistenze e proposte per i diritti umani, sociali, civili, politici, ambientali, per la difesa dei beni comuni, contro la guerra e il riarmo. L´attivismo civile e la mobilitazione sociale dovrebbero essere considerati una risorsa di questo paese.

Al contrario, questi conflitti finiscono sotto processo e tante persone rischiano di vedersi rovinata la vita per il loro impegno sociale. Crediamo sia necessario allargare la riflessione, la solidarietà e l´iniziativa unitaria di fronte ai segnali di una deriva securitaria e repressiva contro ogni forma di diversità e di dissenso.

Agli imputati di Cosenza viene contestato di essere protagonisti attivi del movimento altermondialista e delle lotte per il cambiamento, attività che viene quindi considerata sovversiva e cospirativa.Questo processo riguarda perciò fino in fondo tutti coloro che credono doveroso impegnarsi per una società e un pianeta più giusti e che vogliono per tutti e per tutte il diritto ad agire, ad opporsi, a praticare e vivere alternative.

E´ tempo di tornare a Cosenza da ogni parte d´Italia, come facemmo il 23 novembre del 2002 protestando insieme a tutta la città.

Costruiamo insieme una nuova grande manifestazione a Cosenza sabato 2 febbraio*

Per liberare chi è sotto processo da accuse inaccettabili

DIFENDIAMO IL DIRITTO A VOLER CAMBIARE IL MONDO
Le adesioni collettive e individuali vanno inviate a: liberitutti@inventati.orgIndirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo
Contatto stampa: 334.3051746 – www.cosenza2febbraio.org

22/01/08

Ironie liberali.

Il 10 gennaio 2008 l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha riscontrato che nelle edizioni del 29,30 e 31 Agosto il tg1, trattando dell'indagine europea sulle agevolazioni fiscali alla Chiesa, non ha rispettato "il requisito della verità oggettiva del fatto" e aggiunge "il tg ha fornito una informazione fuorviante circa l'oggetto dell'indagine europea". Questo esempio di manipolazione giornalistica non mette però in mostra il grande potere e libertà di parola che la Chiesa Cattolica possiede quanto i dati d'esposizione all'interno dei vari telegiornali; infatti da quando è Papa, Benedetto XVI ha avuto un tempo d'antenna superiore a quello del premier e del Capo dello Stato ed il 99,8% di tutta l'informazione religiosa.
Le pose da vittima che la CEI sta assumendo grazie alla complicità della maggioranza della stampa e delle forze politiche diventano risibili davanti ai dati di questa esibizione muscolare di arrogante potenza che umilia gratuitamente chiunque vi si opponga. La violenza di questo connubio tra liberalismo e cattolicesimo, ormai suo supporto ideologico teso a occultare la disgregante precarietà esistentiva del capitale, è riscontrabile nella gogna mediatica toccata ai professori e agli studenti della Sapienza di Roma. Questi hanno voluto protestare contro un pontefice affermante la subordinazione della razionalità all'autorità della fede e hanno voluto ricordare che il valore del dissenso è un valore illuminista ed accademico, e mettere quindi in mostra l'egemonia culturale, ed il potere politico, che la Chiesa Cattolica esercita senza scrupoli sotto il velo della propria libertà ed autonomia. Sono stati chiamati, questi professori e studenti, "cretini", "tossici", "cattivi maestri" per aver ricordato che in una società civile dove si rispetta l'altro, il radicalmente diverso e distante e non solo il proprio prossimo, è inaccettabile criminalizzare donne ed omosessuali, è inaccettabile vietare l'accesso ad una morte dignitosa ed è inaccettabile inaugurare l'anno accademico in un'istituzione di ricerca ponendosi come unico possidente della verità. Per questo le/i Giovani Comuniste/i esprimono la propria solidarieta` a quei professori e a quegli studenti.

18/01/08

Un piano alternativo per risolvere l'emergenza
Le Assise di Palazzo Marigliano propongono una serie di discariche in aree poco popolate e non a rischio ambientale. «Utilizzare siti del demanio per togliere il business alla camorra»
Simone Verde
Napoli


Un piano alternativo per le discariche campane. È la proposta avanzata domenica da Franco Ortolani, professore di geologia all'Università Federico II di Napoli e Giovan Battista De Medici, docente di idrogeologia nello stesso ateneo. La cornice, le splendide architetture rinascimentali e barocche di palazzo Marigliano, sede delle Assise fondate dall'avvocato Gerardo Marotta, che ci ricordano come la Campania non sia solo immondizia. Il senso della proposta è semplice e si fonda su argomenti scientifici: depositare i rifiuti in attesa di trattamento in zone a bassa urbanizzazione, dove non sussistono attività economiche di rilievo e in cui non c'è rischio che il percolato si infiltri nei terreni, inquinando le falde acquifere o pregiudicando i raccolti. «Sono anni - ha affermato De Medici - che studiamo questo problema ma il commissariato dopo averci scelti come esperti non ha mai voluto prendere in considerazione le nostre ricerche».
La proposta ribadita domenica in effetti non è nuova. Giace da tempo agli atti del Commissariato straordinario ai rifiuti che, secondo Ortolani, «non ha mai chiarito perché non se ne possa tenere conto». Oggetto di controversia, i siti scelti per discariche. Per lo più ex cave particolarmente soggette ad infiltrazioni delle falde acquifere, zone di pascolo, di produzione agricola o ad alto interesse paesaggistico. Siti come quello di Terzigno, cava dimessa, ora in un parco naturale; Pianura, vecchia discarica satura di sostanze tossiche sversate illegalmente che, una volta ricoperte, non potranno essere più bonificate; Pantano, un'ex palude dove le falde sono in superficie, e tanti altri. «Il rischio rappresentato da questi luoghi - prosegue il geologo - è elevatissimo. Primo perché si tratta di aree molto abitate. Poi perché, siamo a prossimità di corsi d'acqua e di falde acquifere».
I siti alternativi individuati dai tecnici sono tutt'altri. Per lo più ampie pianure desolate nel sud della regione dove «non c'è un albero, non c'è coltivazione né vincoli paesaggistici». E in più sono ben collegate da linee ferroviarie e autostrade. Si tratta di terreni sparsi su cinque comuni della provincia di Avellino (Vallata, Vallesaccarda, Bisaccia, Lacedonia, Andretta) geologicamente idonei poiché resi impermeabili da spessi strati argillosi. Altro capitolo della proposta: utilizzare siti del demanio per impedire ai clan camorristi di lucrare sull'affitto dei terreni. «Destinazione ideale - sottolinea il geologo Ortolani - potrebbe essere la base militare di Persano. Decine e decine di ettari del tutto adatti che permetterebbero notevoli economie». Ma c'è di più. Come sottolinea l'idrogeologo, «oggi c'è bisogno di riconquistare la fiducia delle popolazioni. Si può star certi che qualsiasi posto si scelga la gente scenderà in strada per fare barricate». Altra ragione per cui i siti dell'esercito sarebbero perfetti, in quanto lontani dai centri abitati e dalle attività economiche.
A quel punto, dal pubblico si leva una domanda: «Perché non si tiene conto delle vostre proposte?» Risponde De Medici: «Se si utilizzassero i siti da noi individuati, sarebbero altri a fare affari con l'affitto dei terreni e delle cave dimesse». Cave, che come hanno dimostrato le indagini della procura di Napoli, appartengono spesso ai clan camorristi del casertano implicati nella fiorente attività edile della regione. «Altrimenti - continua De Medici - non si capisce perché, malgrado le polemiche e i linciaggi che subiamo da parte dei colleghi, nessuno abbia confutato la validità delle nostre proposte». Sul motivo per cui dopo anni di studi i terreni dell'avellinese siano stati regolarmente scartati, qualcuno offre anche un'altra risposta: «Quelli sono i feudi di Ciriaco De Mita - dichiara Nicola Capone, uno degli animatori dell'Assise - De Mita fa parte del Partito Democratico ed è indecente che gli equilibri del governo si debbano reggere sulla nostra salute».

08/01/08

Dal sud un appello per la memoria


20 Gennaio 2007


ore 18.30


Circolo Arci “Caracol”


Via Battichiodi 6, Pisa



Introduce e modera:

Cristina Polimeno

Intervengono:

Danilo Chirico (daSud)

Alessio Magro (daSud)

Sandro Modafferi (Per la Sinistra- Pisa)

Il mugnaio Rocco Gatto fu ucciso dalla ‘ndrangheta il 12 marzo del 1977. Ha sempre detto “no” al pizzo, resistendo a intimidazioni e danneggiamenti. Ha accusato pubblicamente gli ’ndranghetisti, si è battuto fino all’ultimo giorno. La denuncia ai giudici contro la cosca Ursini gli è costata la vita.

La reazione all’assassinio fu forte e decisa: i cortei per sfidare la ’ndrangheta, il murales per non dimenticare. Per ricordare tutti i calabresi ‘contro’ che il murales simbolicamente ritrae, come un album di famiglia dell’antimafia calabrese”.Arrivarono da Milano nell’estate del ’78, ospiti del Pci di Gioiosa Ionica. Creativi-militanti della Cgil meneghina e artisti locali gemellati nel nome di Rocco Gatto. Nacque così il murales di piazza Vittorio Veneto.

È il Quarto Stato dell’anti-’ndrangheta, ricorda le vittime delle cosche e gli onesti che si sono opposti e ancora si oppongono alla mafia. È il simbolo dell’altra Calabria. Ma ora il murales rischia di scomparire, insieme alla memoria delle tante storie di resistenza che rappresenta.

Per conservare quel pezzo di memoria antimafia la carovana della memoria attraversa tutta l’Italia, lanciando un appello per non dimenticare le storie di Rocco Gatto e di tutti quelli che hanno combattuto la ’ndrangheta e hanno perso.

E che l’hanno fatto per noi.