13/02/08


Il blitz della polizia al Policlinico II di Napoli, avvenuto poco dopo un aborto terapeutico, nel suo binomio potere-corpo ci ricorda l'obbiettivo che sta alla base di tutte le campagne anti-abortiste. L'agghiacciante visione in un sol luogo delle forze dell'ordine e del corpo materno, il più materiale in quanto mater-no nell'atto della sua riproduzione, ci fa capire quanto poco i discorsi di questi risorti neo-conservatori (o neo-guelfi) abbiano a che fare effettivamente con lo sbandierato diritto alla vita, sia che si facciano avanti nella forma di buffonate quali la moratoria sull'aborto sia nei modi più professionali della lettera dei ginecologi, quanto piuttosto con il potere della donna sul suo corpo, quindi più generalmente con il potere di ognuno di noi sui nostri corpi e sulle nostre vite.
Ma perché si è scelto proprio il diritto alla vita ed in quali modi si presta alla loro agenda politica?

Prima di tutto il diritto alla vita si presta ad una strumentalizzazione facilissima, in quanto laico, aconfessionale, e naturalmente vago nel suo statuto di diritto e nei termini che fa ruotare intorno a sé quali lo stesso concetto di vitae quello di individuo. Questa vaghezza l'abbiamo, purtroppo, riscontrata nelle numerose occasioni in cui vari diritti sono stati messi in mora per esigenze di sicurezza nazionale dal National Security Act alle carceri di Abu Grahib e Guantanamo. Di conseguenza si presta come un versatile strumento, propugnabile da qualsiasi retorica, oltre che dotato di un'autorità, giustamente, più che riconosciuta.

Ma vi è anche un uso del tutto particolare su questo diritto che possiamo riscontrare nell'insistenza della sua difesa, alla lettera, che ne viene fatta.

Nella difesa ad oltranza della vita, oltre ogni condizione, ritroviamo, infatti, un dovere alla vita e non più un diritto. La vita deve essere vissuta ed accettata indipendentemente dalla sua qualità è il messaggio che si vuole far passare nel momento in cui le dinamiche sociali portano, non solo quella che viene sbandierata come una perdita di senso, ma anche crescenti difficoltà economiche ed esistenziali. Il soggetto, del potere, si deve abituare in questo modo, alla crescente mancanza di libertà, di progetti e di garanzie sociali da barattare invece per la sicurezza, cioè per la difesa della sua vita, massimo valore possibile anche qualora sia privata di ogni dignità.

Un secondo elemento che si può ravvisare nell'attacco neo-conservatore è quello di una colpevolizzazione del cittadino esercitante le sue libertà. Le donne, nell'esercizio della padronanza del loro corpo, diventano così assassine davanti ad un soggetto che invece, adeguandosi alla lettera del diritto, è totalmente innocente. Da questa innocenza, presupposta, ogni attacco riversa l'altro nella posizione del carnefice in modo tale da rendere ogni istanza di cambiamento rivolta a questo unico ordine possibile, della sacralità della lettera, da contrastare e sopprimere in quanto colpevole.

Il principio d'azione che soggiace a queste retoriche è quindi ancora una volta il solito controllare il corpo per controllare l'anima. Il corpo viene così, in nome di principi e diritti, castrato nelle sue possibilità di scelta e di conseguenza nelle sue capacità di poter dar origine a modi di vita che siano radicalmente nuovi e significativi politicamente nella loro capacità di incisione effettiva sugli equilibri delle realtà sociali.

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